Il lavoro e la coerenza in “La chiave a stella”, di Primo Levi


“[…] con la chiave a stella appesa alla vita, perché quella è per noi come la spada per i cavalieri di una volta […]”
(Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, Torino, 2014, p.72)

“[…] l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.”
 (Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, Torino, 2014, pp. 78-79)

Nel libro “La chiave a stella”, la categoria filosofica di coerenza appare in primo luogo nel ragionamento di Primo Levi sul rapporto tra l’uomo ed il suo lavoro. Nei lunghi dialoghi con il montatore Tino Faussone infatti ricorre spesso l’idea che il lavoro sia parte integrante dell’uomo, che lo definisca e lo nobiliti, che sia espressione all’esterno dell’uomo. Dunque il lavoro ed il suo prodotto sono coerenti con il lavoratore stesso, vi è tra essi continuità.
Levi attribuisce al lavoro un’importanza tale da considerarlo “la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra.”. Risulta dunque fondamentale che chiunque trovi nel proprio mestiere una parte di sé, in modo da amare ciò che produce e di conseguenza amare sé stesso e la vita.
I racconti di Faussone rendono ciò evidente: ogni sua parola è infatti intrisa di passione per ciò che fa a tal punto da sembrare che provi empatia verso le “sue” opere.
La coerenza di cui parla Levi è quindi quella che porta l’uomo a fare ciò che ama e ciò che è effettivamente, e proprio per questo ne riempie la vita di significato e la nobilita. Questo è infatti il caso del protagonista, il cui mestiere è il montatore e per il quale la chiave a stella è “come la spada per i cavalieri di una volta”.

Edizione del 2014 de "La Chiave a stella" , Einaudi .

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